Le prime notizie su un’Accademia dei Velati risalgono al lontano 1598. Essa fu fondata dal gesuita Sertorio Caputo ed ha operato per circa 300 anni come Accademia Arcadica.
L’attuale Accademia Piceno – Aprutina dei Velati in Teramo rinasce nel 1988 su iniziativa di un gruppo di professori universitari, con lo scopo di promuovere ricerche multidisciplinari in collaborazione tra i soci.

Perchè “Velati”

L’appellativo di “velati” fu unanimemente accettato come indicativo della ricerca in collaborazione. Emerse infatti l’intenzione che il lavoro dell’intera equipe, del comitato dei fondatori ed organizzatori dei convegni si sarebbe svolto in gruppo ed in armonia e che sarebbe stato prediletto il lavoro comunitario in luogo di quello del singolo che si dichiarava “velato” nei confronti degli interessi culturali generali del gruppo.

Il Logo

La lapide delle “male lingue” o delle “lingue trafitte” è un bassorilievo in pietra del XV secolo che si trova nella città di Teramo e raffigura due volti di profilo che si fronteggiano, entrambi con le lingue sporgenti e trafitte da un compasso aperto; la lapide, a forma di scudo, è sormontata da un cartiglio, pure in pietra, sul quale è inciso il motto Alo parlare agi mesura ovvero misura le parole.

La pietra era un tempo murata sulla facciata di una casa medievale sita in Teramo, lungo il corso di Porta Romana, e appartenuta in origine a un esponente della famiglia di Antonello De Valle o ad un partigiano della sua fazione. Oggi la lapide è collocata nella sala consiliare del Municipio di Teramo.

La vicenda storica e le origini della lapide

Lo storico Muzii, nella sua Storia di Teramo, racconta la lotta combattuta tra la seconda metà del Trecento e la prima metà del Quattrocento, dalle fazioni rivali dei Melatino, capeggiata da Angelo di Cola Crollo e dei Valle (o de Valle), questi ultimi detti anche “Antonellisti” dal nome del loro capo Antonello De Valle.

Nel 1388 gli “Antonellisti” si erano impadroniti di Teramo e avevano fatto strage dei partigiani dei Melatino che avevano opposto resistenza.

Nel 1407 la congiura dei Melatino portò all’uccisione del Signore di Teramo Andrea Matteo Acquaviva, e a seguito della quale vennero ritenuti colpevoli ed esiliati i figli di Errico Melatino e i figli di Giovanni di Cola. Al rientro dell’esilio e dopo un triennio di pace, i Melatino furono per l’ennesima volta massacrati e scacciati dai partigiani dei De Valle. Per riottenere il potere e il controllo della città, i Melatino si rivolsero ad uno dei loro tradizionali nemici, il potente Giosia Acquaviva Duca di Atri offrendogli la signoria su Teramo.

L’origine della pietra è raccontato da Antonio Vivilacqua (o Bevilacqua), al servizio dei signori di Acquaviva, allo storico Muzio Muzii che poi lo riportò nello scritto alla fine del Dialogo III, ed è proprio in questo momento storico che si colloca la minaccia al Duca di Atri, da parte del capo della fazione dei Melatino. Quest’ultimo, avendo avuto rifiuto di udienza dal Duca perché a colloquio con gli “Antonellisti” e temendo un accordo tra loro, pronunciò al suo indirizzo parole minacciose mormorate in lingua teramana «Orsù basta ci sta messo, ti scacciarà», volendo rimarcare che così come i Melatino avevano chiamato Giosia in Teramo, allo stesso modo avrebbero potuto cacciarlo via: «Chi ti ci ha messo, ti scaccerà». Le minacce proferite furono udite dai servi e riferite al Duca.

Giosia, che faticava a tenere a bada le violenze delle opposte fazioni, decise di mostrare ai teramani la misura della propria forza in modo da intimorirli per il futuro. Invitò così, separatamente, gli esponenti dei Melatino e dei Valle nella residenza che possedeva in San Flaviano, (l’attuale città di Giulianova) e li ospitò in ali diverse del palazzo.

Nel corso della notte ordinò alle guardie di prelevare Angelo, capo dei Melatino, e i suoi dodici compagni e li fece impiccare fuori dell’abitato di San Flaviano, lungo la strada che conduceva a Teramo.

La mattina dopo, chiamati a colloquio gli “Antonellisti”, il Duca li rimandò a casa assicurandosi, che transitando sulla strada dove erano stati impiccati i Melatino, sarebbero stati informati della ragione di quell’invito.

Di seguito è riportato il passo originale del racconto di Muzii

« “s’accorsero all’improvviso delle forche , e di coloro, che vi stavano appiccati. Ed avendoli ad uno ad uno riconosciuti … ammutirono, senza pur dire una parola tra di loro … Ed allora uno di quei, che tornarono da S. Flaviano, sapendo che Angelo, ed i suoi erano periti, per aver parlato troppo alla libera, fè scolpire in marmo due teste umane di bello intaglio, con le lingue fuori dalla bocca trafitte da un compasso da Marangone, con un motto che dicea: Al Parlare et al misurare. E quel marmo fè murare nel fronte di sua casa, la quale oggi si possiede, ed abita da Prevosto Vivilacqua.»

I partigiani dei Melatino, dopo l’impiccagione dei loro capi, deposero con le armi anche ogni velleità di lotta e a loro fu attribuito il soprannome dispregiativo di Spennati. I de Valle, invece, furono chiamati Mazzaclocchi con riferimento, pare, ad un tipo di mazza ferrata da questi usata. Le denominazioni di Spennati e Mazzaclocchi furono reintrodotte nella toponomastica ottocentesca e sopravvivono ancora al presente nei vicoli del corso di porta Romana, a Teramo.

Il curatore del volume la Storia di Teramo, Giacinto Pannella, corresse l’errore di Muzii nel citare il motto, la cui forma esatta è: Alo parlare agi mesura.

Descrizione (tratta da Wikipedia)

Il bassorilievo raffigura due volti di profilo che si fronteggiano, entrambi con le lingue sporgenti e trafitte da un compasso aperto; la lapide, a forma di scudo, è sormontata da un cartiglio, pure in pietra, sul quale è inciso il motto “A lo parlare agi mesura” (Misura le parole). Le teste appaiono sormontate da due lettere, certamente una “M” (sulla destra) e forse una “Y” (sulla sinistra). Al di sotto dei due profili si trova un piccolo scudo sormontato da una doppia croce.

La pietra era un tempo murata sulla facciata di una casa medievale sita in Teramo, lungo il corso di “Porta romana”, e appartenuta in origine a un esponente della famiglia di Antonello De Valle o, comunque, a un partigiano della sua fazione. Secondo il Muzii, nel Cinquecento era passata in proprietà della famiglia Bevilacqua (o Vivilacqua) e, successivamente, al tempo del Palma, alla famiglia di Francesco Principe. All’inizio del Novecento la proprietà era dei Cavacchioli quando fu acquistata dal Municipio che pensava di restaurarla. Tuttavia, nel mese di maggio del 1928 la casa giunse sul punto di crollare. Si decise così di “smontarla” e di numerare le pietre della facciata, con l’intenzione, poi non attuata, di ricostruirla altrove. Al momento della demolizione, la lapide smurata, fu presa in consegna dal bibliotecario Luigi Savorini che la fece esporre nella sala dei cataloghi della Biblioteca provinciale Melchiorre Delfico dove rimase fino all’inizio degli anni settanta.

Oggi la lapide è collocata nella sala consiliare del Municipio di Teramo.